Venezia, Teatro La Fenice: La “Quarta” di Mahler secondo Daniele Rustioni

Article by Roberto Campanella from GBOpera


“...Affascinante – venendo al concerto feniceo – l’interpretazione della Quarta Sinfonia offerta da Daniele Rustioni che, aldilà della competenza tecnica, si è confermato un interprete dotato di sensibilità e spessore culturale. In base all’approfondita lettura proposta dal direttore milanese, la Sinfonia in sol maggiore – generalmente ritenuta più accessibile al grande pubblico, in quanto può apparire meno complessa rispetto alle altre e con una drammaticità contemperata da un certa grazia settecentesca – si è rivelata un lavoro di grande impatto emotivo che rappresenta, al pari degli altri titoli del catalogo sinfonico dell’autore, un percorso graduale dalle tenebre alla luce, dal disagio esistenziale al suo superamento, pur senza trionfalismi o certezze incrollabili. Se il secondo movimento era proposto come un movimento sinistro, una Danza macabra – secondo la definizione l’autore stesso – pervasa da un senso di angoscia, a rappresentare la Vita Terrena, il quarto ci ha schiuso le gioie della Vita Celestiale. Il movimento iniziale – aperto da un impertinente tintinnare di campanelli:

quasi un avvertimento a non prendere troppo sul serio il settecentesco ‘profumo, il senso di innocenza, che sarebbero stati diffusamente ostentati – ha assunto nello Sviluppo un carattere spettrale, determinato dalle sonorità stridenti dei legni e, al culmine di un climax, dall’intervento della tromba, che preannunciava la marcia funebre della Quinta. Un clima inquietante, che – come abbiamo accennato – si è colto anche il secondo movimento, dove il violino solista, accordato un tono sopra per rendere la sua ‘voce’ più aspra, ha efficacemente evocato la morte con il suo sinistro inciso: “Freund Hein spielt auf” (Sta suonando l’amico Hein), aveva annotato Mahler a margine di una prima stesura della partitura, riferendosi al mitico menestrello che, al suono del suo violino, conduce i bambini nell’Aldilà. Il terzo movimento – un Adagio, tra i più ispirati dell’intera produzione mahleriana – ha fatto ridere e piangere, secondo le intenzioni dell’autore, essendo costituito da un seguito di variazioni su due temi: il primo, estatico e appena sussurrato, esposto dagli archi, ad evocare il Paradiso; il secondo carico di dolore, intonato dall’oboe, ad esprimere la drammatica condizione umana (tra le variazioni di quest’ultimo compare anche una citazione dai Kindertotenlieder). Verso la fine, nell’ambito di un improvviso fortissimo di tutta l’orchestra, i corni e le trombe hanno preannunciato lietamente il tema della ‘musica celeste’ del movimento successivo, prima che l’Adagio si concludesse con una coda di rarefatta leggerezza strumentale.

Impareggiabile, nell’ultimo movimento, Rosa Feola, che ha cantato, puntando più all’introiezione che all’esternazione, le gioie – peraltro alquanto prosaiche – della Vita Celestiale: la freschezza vocale con cui ha espresso l’innocenza del mondo infantile sarebbe probabilmente piaciuta all’autore, che pensava inizialmente ad una voce bianca. Fascinosa l’esecuzione di questa sorta di Rondò, in cui ognuna delle quattro strofe del Lied si concludeva con un verso finale intonato a mo’ di ritornello, mentre la musica – a parte la strofa iniziale, dove assumeva un carattere contemplativo, estatico – appariva abbastanza dissacrante: lo attestavano gli intrecci dei fiati, l’armonia, gli impertinenti campanelli dell’inizio della Sinfonia, che tintinnavano di nuovo, a sancire l’ambiguità del lieto fine. Quell’ambiguità che ha consentito a Mahler di apparire ‘moderno’, nonché il cantore della crisi di un’epoca. Applausi interminabili a fine serata al direttore, alla cantante e all’Orchestra, dimostratasi ancora una volta in gran forma.”

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